Un concerto dei Brokenspeakers ci ha dato l’idea di venire a passare un giorno intero in questa città. Il programma è vago: partiamo presto da Roma, giriamo per l’Aquila fino a sera e poi concerto rap.
A quasi un anno dal terremoto nessuno tra me, er Ciccio per gli amici ma Alessandro per l’anagrafe, Matteo, Nico e Salvo, ha visto questa città, solo immagini su internet ci hanno permesso di farcene un’idea.
Lasciamo la macchina vicino la Fontana Luminosa e saliamo al castello. Tanta gente passeggia lassù, facile fare conoscenze. Un signore anziano ci viene incontro dopo aver fatto almeno quattro volte il giro attorno al castello. Lui curioso di noi, noi curiosi e basta. Dopo cinque minuti si parla come vecchi amici, gli aquilani sono persone accorate, dice, volendo dire sia addolorate, come ogni dizionario recita, sia di cuore, come i suoi gesti lasciavano intendere. Il signor Gigi Malavolta, se la memoria non mi inganna si chiama così, si considera poeta beyond, al di là di ogni espressione poetica già percorsa. Ci lascia con una sua massima, secondo lui forma corretta del proverbio La lingua batte dove il clito ride: “La lingua batte dov’è il clitoride”.
Il pomeriggio lo passiamo a vedere queste strade deserte che sanno ancora di polvere. Non sono che le sei, sembra notte fonda. Al vuoto della Casa dello studente facciamo una lunga sosta. Nessuno di noi ha voglia di parlare.
È ancora presto per il concerto, così la tentazione di entrare nella Zona rossa ha il tempo di crescere e portarci dove non possiamo. Nella piazza davanti al Municipio ci guardiamo attorno senza capire a che distanza da noi sono gli edifici, mettiamo le mani avanti per cercare ostacoli, sentiamo ogni nostro passo, vediamo solo il cielo pieno di stelle sopra di noi. Per la prima volta in vita mia ho respirato il buio ed il silenzio, insieme.
Lasciamo riposare i nostri pensieri seduti a cerchio in mezzo al Corso, sembra di fare occupazione al liceo.
Anche il concerto finisce, come il vino che avevamo con noi, ci fermiamo solo davanti a una bottiglia di Centerbe, ci stenderebbe.
A quasi un anno dal terremoto nessuno tra me, er Ciccio per gli amici ma Alessandro per l’anagrafe, Matteo, Nico e Salvo, ha visto questa città, solo immagini su internet ci hanno permesso di farcene un’idea.
Lasciamo la macchina vicino la Fontana Luminosa e saliamo al castello. Tanta gente passeggia lassù, facile fare conoscenze. Un signore anziano ci viene incontro dopo aver fatto almeno quattro volte il giro attorno al castello. Lui curioso di noi, noi curiosi e basta. Dopo cinque minuti si parla come vecchi amici, gli aquilani sono persone accorate, dice, volendo dire sia addolorate, come ogni dizionario recita, sia di cuore, come i suoi gesti lasciavano intendere. Il signor Gigi Malavolta, se la memoria non mi inganna si chiama così, si considera poeta beyond, al di là di ogni espressione poetica già percorsa. Ci lascia con una sua massima, secondo lui forma corretta del proverbio La lingua batte dove il clito ride: “La lingua batte dov’è il clitoride”.
Il pomeriggio lo passiamo a vedere queste strade deserte che sanno ancora di polvere. Non sono che le sei, sembra notte fonda. Al vuoto della Casa dello studente facciamo una lunga sosta. Nessuno di noi ha voglia di parlare.
È ancora presto per il concerto, così la tentazione di entrare nella Zona rossa ha il tempo di crescere e portarci dove non possiamo. Nella piazza davanti al Municipio ci guardiamo attorno senza capire a che distanza da noi sono gli edifici, mettiamo le mani avanti per cercare ostacoli, sentiamo ogni nostro passo, vediamo solo il cielo pieno di stelle sopra di noi. Per la prima volta in vita mia ho respirato il buio ed il silenzio, insieme.
Lasciamo riposare i nostri pensieri seduti a cerchio in mezzo al Corso, sembra di fare occupazione al liceo.
Anche il concerto finisce, come il vino che avevamo con noi, ci fermiamo solo davanti a una bottiglia di Centerbe, ci stenderebbe.
L’Aquila, 04/02/2010
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