venerdì 20 settembre 2013

Η μονή Άγιου Διονυσίου - Athanasios e Charitos

Penisola del Monte Athos, terzo "piede"
(quello più a est) della Calcidica.
   Una colazione con pane e acqua intorno alle 8 del mattino, dopo essere stato per qualche minuto alla messa che andava avanti sin dalle 3:30 di notte, ha chiuso la prima parte della mia permanenza nella penisola del Monte Athos. Da lì a poco infatti un furgone ci avrebbe dato uno strappo per tornare a Kariès, la capitale sulle montagne. Saluto il monastero Σταυρονικήτα dispiaciuto per il poco tempo che gli ho dedicato, ma allo stesso tempo felicissimo di averlo incontrato sulla mia strada, anche solo quel giorno sarebbe bastato per dare un senso ai chilometri fatti a piedi e in autobus.
   Assieme a Javier e Luo salutiamo anche la costa orientale, il nostro programma dice che la prossima destinazione è Η μονή Άγιου Διονυσίου, Monastero di San Dionisio, sulla costa occidentale a sud di Dafni. Poco prima delle 9 siamo a Kariès. Abbiamo quasi due ore prima che un autobus ci porti di nuovo a Dafni, decidiamo di fare un giro. Prima tappa: un forno. L'odore di koulouri ci guida lungo quelle vie strette e polverose, con gatti e cani che ad ogni angolo pregano anche loro per un pezzo di pane. Un cane ci adotta, ci fa Cicerone per un po', almeno fino a che non ottiene la sua ricompensa: mezza focaccia con patate del giorno prima. Ci concede una foto tutti insieme e si dilegua alla ricerca di nuovi pellegrini. 
   Visitiamo velocemente un monastero molto grande ma in rovina, di San Paolo se non ricordo male, che è circondato dal bosco, poco fuori Kariès e ritorniamo in piazza per prendere posto sull'unico autobus a nostra disposizione. Scendiamo a Dafni e aspettiamo un'ora: l'unico modo, oltre a piedi (l'opzione è subito scartata!), per raggiungere il monastero di San Dionisio è via mare. 
   Sono da poco passate le due, la nave ci lascia al nostro molo. Bisogna salire per duecento metri per raggiungere l'entrata del monastero. Siamo assieme ad un altro gruppo di pellegrini, in tutto quindici persone, per lo più greche. Ci accolgono in un'ampia sala con un dolce e un bicchiere di tsìpouro: questi monaci si fanno voler bene. Il programma prevede una messa fino alle 17, la cena, un'altra ora di messa e buona notte. 
   Decidiamo che il programma non fa per noi, quindi facciamo un giro nei dintorni: campi coltivati, ciliegi, viti, mare blu e limpido a ovest una gola altissima a est. Torniamo tra le mura in tempo perché un signore, Athanasios, assiduo frequentatore del monastero, ci parli un po' degli affreschi e della storia di quel posto. Per ultimo decide di farci visitare il cimitero, esterno alle mura. Non ho mai trovato particolarmente interessante un cimitero, ma lo seguo in segno di rispetto. Ho fatto bene. Passiamo per una casupola dietro la quale si trova un piccolo giardino con delle tombe interrate. Prima di tornare indietro Athanasios apre una piccola porta della casupola: "Ecco che fine fanno i monaci!"... Uno sull'altro, con in fronte scritto il proprio nome, stavano i teschi dei monaci che negli anni avevano consegnato la propria vita alla preghiera tra quelle mura. Preso in contropiede decido di farmi una risata. Prima di tornarmene fuori da quel cimitero, un'altra casetta nel lato alto del giardino cattura la mia attenzione: avvicinandomi mi rendo conto che dalle finestre non uscivano rami o legna da ardere, come da lontano mi era sembrato, ma spine dorsali e femori. Si tratta dell'ossuario. Athanasios conferma, i teschi da una parte, gli scheletri dall'altra. Bene.
   Aspettiamo la cena seduti nella chiesa, edificio geometricamente centrale del monastero. Alle 17 in punto i monaci invitano i pellegrini a sedersi in una sala poco distante: quella sera la cena era fatta di olive, pasta con del sugo e cocomero per dessert. La fame mi fa mangiare di fretta e questo si rivela una gran fortuna: dopo cinque minuti scarsi i monaci si rialzano per rientrare in chiesa e continuare la messa. Gli altri pellegrini seguono, io metto delle olive in tasca ed esco, del cocomero potevo fare a meno.
   Si sta in chiesa un po'. Intorno alle 19 vado a prendere posto su una panca in un balcone che si affaccia sul mare, da dove vedere il tramonto: quel sole visto sorgere da un altro monastero stava per lasciare spazio al buio.
Altri pellegrini hanno avuto la mia idea, tra cui Athanasios, che ora mi parla un po' di lui: mi spiega di essere legato a quel posto per via dello zio di suo padre, Athanasios anche lui, monaco in quel monastero molto tempo prima. Parlo con altre persone, chi dal Peloponneso, chi da Salonicco, hanno tutte voglia di purificare la propria condotta con la loro presenza lì. 
   Sono l'ultimo a lasciare il balcone e vado a letto, è quasi mezzanotte. Quasi tre ore e i monaci cominceranno nuovamente la liturgia, come ogni notte, da secoli. La nave che ci riporterà a Salonicco partirà da Dafni a mezzogiorno, noi lasceremo il monastero alle 9. 
   Alle 7:30 i monaci organizzano una colazione e alle 8 riprendono la liturgia. Decido di scendere in chiesa alle 8, per ascoltare ancora una volta quei salmi, ma prima passo per il balcone, ho bisogno di aria per svegliarmi davvero. Quando sto per rientrare un monaco esce anche lui sul balcone: 
- Che fai ancora qui? 
- Sono pronto per venire in chiesa...
- Come ti chiami?
- Freedom. Per via dei miei due nonni: Free sta per Francesco, dom sta per Domenico.
- E quindi festeggi due volte l'onomastico?
- No, mai.
- Ma come?, è importantissimo, come fai a non farlo?, Devi farlo... Sei cattolico?
- Non sono molto religioso.
- Ma come?, avvicinati alla preghiera, la religione conosce ogni mistero della vita, è una guida, è esperienza... Non mi hai ancora chiesto come mi chiamo.
- Come ti chiami?
- Charìtos. Sono qui da 25 anni...
   Nelle sue parole avverto più rimpianto che speranza, ma decido di non approfondire, il mio greco non me lo permetterebbe. Io continuo a guardare il mare sotto di noi e lui, che accarezza pensieroso la propria barba. 
- Ascolta Freedom, senti questi battiti?, un monaco sta battendo un pezzo di ferro su una tavola di legno, è la messa che ricomincia.
- Ho sentito, andiamo.
   Entro con lui in chiesa, mi siedo su un lato. I miei amici mi raggiungono. Dopo un'ora scendiamo giù al molo. Mentre aspetto la nave saluto il monastero alle mie spalle chiedendomi come sia possibile che ogni giorno, da secoli, quelle persone trovino la forza di fare sempre le stesse identiche cose pur sapendo dove comunque finirà il proprio teschio: è la fede, grande amore o pura pazzia.






















Μόνη Άγιου Διονυσίου, 17/08/2013

lunedì 16 settembre 2013

Al centro delle Cicladi

Paros, isola dell'arcipelago delle Cicladi.
   Nell'agosto del 2012 con i miei colleghi di neogreco della Sapienza abbiamo avuto la fortuna di poter partecipare ad un seminario di traduzione di due settimane sull'isola di Paros, isola centrale nell'arcipelago delle Cicladi. Fummo ospitati dalla Casa delle Letterature che si trova a Lefkes, piccolo paese tranquillo nell'entroterra, un tempo capitale dell'isola. 
   Prima parlavo di fortuna, perché in effetti si è trattato di un'esperienza indimenticabile. Soprattutto per il fatto di averla condivisa con altre dodici persone in gamba. Dopo il seminario mattutino, tutti a cucinare e poi a girare l'isola. A cominciare dalla spiaggia rossastra fatta di piccole conchiglie di Logaràs, fino a quella caraibica di Chrysì Aktì. La tranquillità di Mòlos, il vento di Andìparos, i ristoranti di Piso Livadi, le stradine di Parikià e i locali di Nàoussa. La Via Bizantina poi, antica strada in pietra che collegava tutti i centri economicamente e religiosamente più importanti. Lefkes e la sua notte di festa finita a vedere il sole spuntare da dietro Naxos seduti in un campo tra erba, pietre, asini.
   Due settimane piene di vita. Il mio rientro era un po' anticipato rispetto agli altri, quindi la sera del 25 agosto la mia nave partiva da Parikià per arrivare a notte fonda ad Atene da dove al mattino avrei avuto l'aereo. Lasciando i miei amici al porto e vedendo Paros allontanarsi dal ponte della nave Blu Star Delos sentivo di dover scrivere quello che provavo, per cercare un po' di definirlo. Avevo un piccolo pezzo di carta, uno scontrino, cominciai a scrivere. Quando misi il punto finale mi resi conto che aveva la forma di una poesia a versi liberi. 

Blu Star Delos

Alle spalle Paros                                        
Spiaggia di Mòlos
accende le sue prime luci 
mentre il megafono
regala una risata:
"Στο Πειραιά στις 11:44".

Metto insieme solo ora
ricordi, a dettar loro il tempo
è una nave, oggi.

Lascio alle spalle quest'isola 
di incontri interessanti
di amicizie appaganti, 
unico rimpianto
non averne goduto la vetta più alta.

Con me uno zaino 
di profumi e conchiglie,
La vetta più alta
di scarpe e mutande,
di aspettative e ricordi.

Lascio alle spalle quest'isola
anche se, in realtà, 
sembra essere lei
ad abbandonare me.

Paros, ore 20:00, 25/08/2012







sabato 14 settembre 2013

Η Μονή Σταυρονικήτα – Una finestra sull’Egeo

Calcidica, regione della Grecia nord orientale:
la penisola del Monte Athos è la regione più a est
  Dopo un tentativo disperato mi dicono che sì, anche io posso andare sul Monte Athos. Non ero sicuro di volerlo visitare: il consiglio di un amico, l’occasione irripetibile, la voglia di vedere questo posto proibito alle donne e la curiosità di capirne la ragione mi hanno fatto cambiare idea.
   Si parte presto. A Ouranopoli ci danno il permesso di imbarcarci, prima di salire sulla nave mi fanno cambiare: solo pantaloni lunghi. Anche ad agosto. Nessun problema, mi cambio in un furgone. Via. Arriviamo a mezzogiorno a Dafni, principale porto della penisola. Siamo in nove, divisi in tre squadre. Con me un madrileño, Javier, e un pechinese, Luo. Le squadre si dividono, ognuna visiterà diversi monasteri. Il nostro programma dice che da Dafni, sponda occidentale, dobbiamo dirigerci al Monastero Stavronikita, sponda orientale. Bene. Anzi, male. Con la nave non è possibile. L’unico autobus che fa quella strada è già partito. Le altre due squadre sono già via. Taxi introvabili… Decidiamo di sederci ad un bar e mangiare: non so per quale ragione ma ogni volta che mi si complicano i piani do la priorità allo stomaco. 
   Il sole di metà agosto e di mezzogiorno ci fa capire che andare a piedi non è una buona idea: 16 chilometri con zaini sulle spalle, poca acqua, quasi 40 gradi. Ci incamminiamo: le pessime idee hanno sempre un loro fascino. Salvo rivelarsi pessime idee. Dopo un’ora di bestemmie una casetta sul ciglio della strada accanto all’entrata di un monastero ci sembra una manna scesa dal cielo. Ci fermiamo all’ombra in attesa di una macchina, un taxi, un autobus, un qualcosa su quattro ruote che ci porti per lo meno a Kariès, capitale della penisola del Monte Athos, sulle montagne. Javier sembra il più inquieto, è il caposquadra, conosce il greco meglio di me e Luo, che invece attende tranquillo che la situazione migliori. Dei passanti ci danno un numero di un taxi. Javier telefona e ritelefona: è fatta. Aspettiamo ancora mezzora, il taxi arriva. I chilometri in salita fino a Kariès ci convincono di quanto fosse pessima l’idea di andare a piedi. Arriviamo alla piccola capitale intorno alle sedici. Compriamo dell’acqua, qualcosa da mangiare. Su una panchina decidiamo cosa fare: la priorità è arrivare al monastero prima che faccia buio, da lì dista alcuni chilometri, ma sono in discesa. Cartina alla mano, cominciamo di nuovo a camminare.
   Il nostro greco, in generale non ancora molto sicuro, non ci permetteva lunghi discorsi. Sul finire di quella lunga giornata le parole erano rare, anche per la stanchezza. Era la mente a fare i suoi discorsi: “Ma che cazzo ci sono venuto a fare io qui?, polvere, caldo, fatica, niente ragazze… e loro vogliono pure venirci qui! A fare cosa poi? Vai a capirle…”.
Scendendo verso la costa orientale della penisola ammiro a sud la cima maestosa del Monte Athos, attorno a me solo castagni: sembra di stare nella mia Calabria. Dopo più di un’ora e mezza eccoci arrivati: il monastero è un piccolo gioiello incastonato nella tranquillità, duecento metri sul mare, duecento metri dal bosco. 

   I monaci sono in chiesa, è l’ora della messa serale. Entriamo anche noi in chiesa, assetati e affamati. Recitano parole a me incomprensibili nel buio di quelle mura affrescate con la vita dei santi. Non resisto più di venti minuti: tra stanchezza e fame potrei nominare invano qualcuno a loro caro. Mi faccio un giro attorno al monastero: però, che natura incontaminata! Mare, montagna, tranquillità. Un monaco ci invita a rientrare in chiesa: tiro fuori le ultime briciole di pazienza per mostrare un minimo di rispetto. Sono le sette di sera, finisce la liturgia. Sono ancora fermo con il mio zaino all’entrata. Un monaco ci fa segno di avvicinarci, ci indica una porta: ci offrono la cena. Entro, riconosco i volti di altri pellegrini visti prima durante la funzione, mi siedo vicino a loro. Davanti a me un piatto abbondante di fagioli con verdure varie. Prego. Prego perché la preghiera pre-pasto finisca il più in fretta possibile. Ringrazio Dio e mi metto all’opera.
   Un lungo respiro dopo l’ultimo boccone chiude la mia cena. Un monaco ci indica il nostro alloggio, saliamo: ultimo piano, con le finestre sul mare Egeo che guardano a oriente, all’alba. Sotto di noi un burrone di duecento metri e il mare… il mare, la montagna, la tranquillità, cibi sani, niente donne… comincio a capirli, questi monaci. 
   Vado a letto, voglio svegliarmi presto, l’alba dalla mia finestra sull’Egeo sarà indimenticabile. (Secondo giorno)



Monastero Stavronikita, Monte Athos, 16/08/2013

venerdì 13 settembre 2013

Alba Fucens





    L’aria a Massa d’Albe ha qualcosa in comune con quella del mio Aspromonte. Anche la terra, mi sembra di conoscerla, pervasa da una fresca umidità che ti aspetti da un momento all’altro un fungo lì pronto a riempirti lo sguardo di entusiasmo e i polmoni di ricordi.


   Alba Fucens è poco più in alto rispetto al paese, incastonata in una leggera gola, tra rovi carichi di more.
   Ormai consumata dal tempo si lascia osservare silenziosa, come aspettasse un tuo parere.  Ha in qualche modo bisogno del tuo stupore quando te la ritrovi lì, pietrificata in mezzo alla natura, sembra quasi te lo chieda proprio con quel silenzio.



   “Guardami, percorri le mie strade, metti insieme un’immagine di quello che ero col poco che ormai sono. Sali per la collina, entra nel mio teatro: a tenerlo vivo sono ora ragazzi che lì si alienano un po’ dal mondo, con  chitarre e vino. Ridiscendi la collina e fermati a metà strada. Adesso che hai un’idea di quello che fui alza lo sguardo verso coloro che sanno tutto di me, i monti Velino e Cafornia: immagina con i loro occhi le vite passate su questa valle. La tua idea di me sarà autentica ora, chiudi gli occhi,  fai un respiro ed io, Alba Fucens, farò sempre parte dei tuoi ricordi”.

Massa d’Albe, 07/09/2012

L'Aquila puntellata

   Un concerto dei Brokenspeakers ci ha dato l’idea di venire a passare un giorno intero in questa città. Il programma è vago: partiamo presto da Roma, giriamo per l’Aquila fino a sera e poi concerto rap.
   A quasi un anno dal terremoto nessuno tra me, er Ciccio per gli amici ma Alessandro per l’anagrafe, Matteo, Nico e Salvo, ha visto questa città, solo immagini su internet ci hanno permesso di farcene un’idea.
   Lasciamo la macchina vicino la Fontana Luminosa e saliamo al castello. Tanta gente passeggia lassù, facile fare conoscenze. Un signore anziano ci viene incontro dopo aver fatto almeno quattro volte il giro attorno al castello. Lui curioso di noi, noi curiosi e basta. Dopo cinque minuti si parla come vecchi amici, gli aquilani sono persone accorate, dice, volendo dire sia addolorate, come ogni dizionario recita, sia di cuore, come i suoi gesti lasciavano intendere. Il signor Gigi Malavolta, se la memoria non mi inganna si chiama così, si considera poeta beyond, al di là di ogni espressione poetica già percorsa. Ci lascia con una sua massima, secondo lui forma corretta del proverbio La lingua batte dove il clito ride: “La lingua batte dov’è il clitoride”.
   Il pomeriggio lo passiamo a vedere queste strade deserte che sanno ancora di polvere. Non sono che le sei, sembra notte fonda. Al vuoto della Casa dello studente facciamo una lunga sosta. Nessuno di noi ha voglia di parlare.
   È ancora presto per il concerto, così la tentazione di entrare nella Zona rossa ha  il tempo di crescere e portarci dove non possiamo. Nella piazza davanti al Municipio ci guardiamo attorno senza capire a che distanza da noi sono gli edifici, mettiamo le mani avanti per cercare ostacoli, sentiamo ogni nostro passo, vediamo solo il cielo pieno di stelle sopra di noi. Per la prima volta in vita mia ho respirato il buio ed il silenzio, insieme.
   Lasciamo riposare i nostri pensieri seduti a cerchio in mezzo al Corso, sembra di fare occupazione al liceo.
   Anche il concerto finisce, come il vino che avevamo con noi, ci fermiamo solo davanti a una bottiglia di Centerbe, ci stenderebbe.


L’Aquila, 04/02/2010